Per microsociologia s'intende uno dei rami della sociologia (in contrasto agli approcci detti macro e meso) che si occupa dell'interazione sociale su scala ridotta. Spesso si fonda sull'osservazione diretta, più che su dati statistici.[1]
Oggetto di studio della disciplina sono i piccoli gruppi (come la famiglia, la coppia, il gruppo dei pari) e le strutture alla base dei comportamenti nelle relazioni. Si osserva come dall'interazione nascono i rapporti sociali, come da elementi comportamentali anche minimi si sviluppino i ruoli rispettivi, e come la stessa crei le premesse per ulteriori forme del rapporto.
Negli anni trenta del Novecento, il sociologo russo naturalizzato francese Georges Gurvitch, definì microsociologia l'interpretazione e la classificazione di una serie di manifestazioni, costituenti le componenti più elementari delle strutture sociali.[2]
Sebbene elementari, queste manifestazioni sono già complete di tutti i livelli della realtà sociale.
Nello stesso periodo il medico Jacob Levi Moreno e una parte del mondo della psicologia e della sociologia, definì microsociologia quei metodi di indagine delle relazioni, attrattive o repulsive, tra i membri di un gruppo.
Viene definita microsociologia, dalle correnti sociologiche marxiste, la sociologia nord americana, in quanto carente di studi accurati sulle strutture politiche ed economiche delle società.[2]
Le teorie microsociologiche si occupano del rapporto fra agente (detto impropriamente attore) e società a livello individuale. Le più note sono le teorie:
Contributi importanti vengono dall'etnometodologia, dall'interazionismo simbolico e da alcuni spunti del costruttivismo.